Scaffidi: il legame tra Energia e cibo

L'esponente di Slow Food sulle connessioni tra alimentazone ed energia

Scaffidi: «Mangiare responsabile
fa bene all'ambiente»

di Rosalinda Cappello Cinzia Scaffidi è direttore del centro studi di Slow food. Tra i relatori del seminario organizzato oggi da Farefuturo e Cetri Tires, dal titolo "Il futuro dell'energia: interdipendenza energetica e indipendenza economica", ci parla della correlazione tra energia, cibo e democrazia. E spiega come le "filiere corte" siano importanti per favorire un consumo energetico e alimentare fondato sul trinomio di "buono, pulito e giusto".

Che cos'è la filiera corta?
Alla ricerca di un comportamento pi๠saggio, anche dal punto di vista nutrizionale, si ricorre a quest'espressione un po' approssimativa e ambigua che è un'indicazione di carattere quantitativo sui passaggi avvenuti prima che un prodotto arrivi al consumatore. In realtà , non sempre una filiera corta è meno impattante sull'ambiente e sul risparmio energetico. Se, per esempio, una mozzarella viene prodotta a Napoli e venduta via internet a un ristorante di New York, la filiera è molto corta, perchà© è una vendita molto diretta, ma quella mozzarella avrà  fatto comunque migliaia di chilometri per arrivare a destinazione. 

Quindi, i riflessi sull'ambiente e sul consumo di risorse permangono?
Esatto. Per questo noi cerchiamo di incoraggiare un tipo di vendita locale, quel mercato degli agricoltori che Coldiretti ha chiamato "a chilometro 0": alimenti venduti e consumati in un raggio di chilometri limitato e che ha una serie di valori aggiunti.

Quali?
La certezza che quel cibo sarà  di stagione, prodotto su piccola e media scala, garante dell'ambiente, della biodiversità  e meno soggetto a sprechi, perchà© permetterà  di risparmiare sul packaging, che finisce immediatamente nella pattumiera talvolta insieme al prodotto stesso.

Come spiegare tutto questo al consumatore che ormai è abituato ad avere ciಠche vuole in ogni momento dell'anno?
Il consumatore non è sempre stato così. Fino a trenta-quarant'anni fa c'era una migliore conoscenza dei prodotti, della loro qualità , delle loro peculiarità , della loro stagionalità . Il processo per cui si trova tutto quello che si vuole indipendentemente dalla stagione si è accompagnato a un progressivo depauperamento della cultura gastronomica. Oggi, sembra che ci sia molta scelta, ma in realtà  nei supermercati non c'è una vera biodiversità . àˆ solo il marchio che cambia. Anzi, se si considera quante opzioni si hanno in termini di specie, varietà , prodotti, ci accorgiamo di quella che Vandana Shiva ha definito "una monocoltura della mente". Siamo talmente abituati a semplificare che non ci rendiamo conto che questo mondo un po' semplificato si approfitta di noi che non abbiamo pi๠le competenze. Tuttavia, negli ultimi vent'anni, dopo i primi scandali alimentari - come il vino al metanolo, la mucca pazza e il pollo alla diossina, per citarne alcuni - il consumatore si è reso conto che questa mancanza di competenze era diventata pericolosa. Da allora, vorrebbe saperne un po' di pià¹, capire, procurarsi salute e piacere attraverso la competenza in materia gastronomica.

Un processo di responsabilizzazione che dovrebbe iniziare da piccoli per essere efficace…
Proprio così. E, infatti, gli orti scolastici permettono ai bambini di acquisire quelle competenze che una volta i loro coetanei apprendevano spontaneamente. Da adulti, poi, diventeranno consumatori, o come noi preferiamo chiamarli noi, coproduttori molto consapevoli in grado anche di orientare il mercato perchà© non compreranno qualsiasi cosa gli verrà  offerta dal mercato. L'immagine di un consumatore avvertito, ci fa giocare sull'idea di filiere pi๠che corte "colte" che, avvicinando ai  mercati degli agricoltori, permettono una forma di scambio sociale, oltre che di informazioni attraverso la relazione diretta con il produttore che si prende cura di ciಠarriva sulle nostre tavole. mangiamo e dunque di noi. Questo meccanismo ha anche un risvolto di carattere energetico.

In che senso?
Il prodotto dell'agricoltura puಠavere due destinazioni diverse: i mercati o le tavole. In quest'ultimo caso il cibo è molto di pià¹: è cura del paesaggio, risparmio delle risorse, rinnovo delle risorse. Nel primo, invece, c'è un'agricoltura di rapina che toglie e non si preoccupa di cosa succederà  a chi rimarrà  sul territorio o al pianeta. L'agricoltura di rapina non rinnova, gli output diventano sprechi. La produzione destinata ai mercati per sua natura è dannosa perchà© si basa su monocolture estese, che annullano la biodiversità , necessitano di una quantità  impressionante di energia, anche quando sono monocolture formalmente sostenibili. Per esempio, se produco insalata biologica su un'estensione esagerata di ettari e faccio solo quello, servirà  una quantità  d'acqua tale da depauperare le falde. Questa è una delle tante contraddizioni a cui bisognerà  andare incontro.

Nel suo intervento, lei stabilisce una relazione tra democrazia, cibo ed energia…
Sì, funziona come nelle democrazie politiche. Molti delegano a pochi la gestione di qualcosa, in questo caso la produzione del cibo. Questi pochi devono essere controllabili altrimenti la democrazia va a farsi benedire. Come controllare i pochi? Attraverso un'informazione accessibile a tutti e, ovviamente, attendibile. Se l'informazione non è trasparente, se non è corretta questa maggioranza non ha pi๠lo strumento di controllo su quelli a cui ha delegato la gestione e la produzione del cibo. Se ci sono poche industrie che si occupano del cibo di tutti e se di esse nessuno ne sa niente, queste possono fare quello che vogliono. Bisogna fare in modo che i pochi non rimangano pochi, che la produzione di cibo sia sempre pi๠nelle mani di tanti  piccoli che producono per il locale, per le loro comunità , che hanno un ristretto raggio d'azione e che siano direttamente controllabili.

La democrazia nel cibo dà  in qualche modo a noi consumatori un ruolo da protagonisti e da passivi consumatori ci trasforma in attivi selezionatori?
Sì e se siamo in grado di scegliere con reale sovranità  alimentare quello che mangiamo è perchà© è stato possibile acquisire delle competenze, potendo decidere per noi stessi, anche andando contro corrente rispetto alle spinte che invece cercano di eliminare questa democrazia.

27 settembre 2010