SE C'E' UNA COSA CHE NON MI PIACE

Se c'è una cosa che non mi piace è il qualunquismo, l'italianissima tentazione di fare di tutta l'erba un fascio, non quello di mussoliniana memoria, ma quello molto meno virile del menefreghismo, dei luoghi comuni, delle aspirazioni frustrate, della superficialità  elevata a sistema, della spocchia e dell'indifferenza.

Se c'è una cosa che non sopporto sono le meschinità , i trucchi, le furbizie degli imbonitori, dei promotori delle piccole aspirazioni, dell piccole vittorie e delle piccole sconfitte, dei piccoli odi e dei piccoli amori.

Se c'è una cosa che detesto è che tutta la nostra società  è ormai infarcita di questo, di mediocrità  e di imbecillità .

La verità  è stata estirpata a forza dalla nostra vita, tutto è relativo, tutto discutibile, tutto precario, tutto improvvisato.

Nulla pi๠è costruito per durare, per vincere il tempo, per passare alle generazioni future, che siano cose ed idee non fa differenza, non ha importanza, tutto deve finire nell'arco di una stagione.

Moltitudini di mediocri decidono ogni nostra giornata.

Così alla fine tutti credono di poter fare tutto, anzi, credono di poterlo fare ancora meglio degli altri e non solo lo credono, lo pretendono.

L'umiltà , da sempre figlia del lavoro e sorella della grandezza, è stata confinata nel regno dei Santi o, ancora peggio, nel recinto degli idioti e da li non si scappa.

Così l'aria è omogeneamente e democraticamente irrespirabile ormai ovunque e allo stesso modo, in ogni settore, in ogni classe, in ogni corporazione.

Consumatori di idiozie, disciplinati, quotidianamente in fila, attendono il loro turno per accedere alle tavole imbandite dai conquistatori del nulla.

Inutile cercare nobiltà  dove ormai non vi è pi๠nemmeno decenza, inutile cercare ardimento e dedizione dove il sistema esige invece ignavia e servilismo e perfino i pi๠elementari rudimenti dell'educazione, in molti casi, vengono ormai considerati ingombrante retaggio di un passato nemico della libertà .

Rimane allora la bellezza, l'ultimo grande bastione della resistenza.

La bellezza da cercare e diffondere, da mantenere viva e trasmettere come rifugio e caserma in cui addestrare futuri guerrieri.

La bellezza per lenire le nostre ferite, per dare forza alle nostre braccia atrofizzate, per dare luce ai nostri occhi abituati ormai a colori artificiali, a menzogne e simulacri di immagini.

La bellezza, come senso estetico della vita, come atto estremo di ribellione, come ideale azione che innalziamo per dare un senso all'esistenza.

La bellezza che ancora puಠergersi in una frase, in uno sguardo, in un gesto, in un pensiero fuggito, esiliato, braccato perch੠non omologato n੠al buonismo ipocrita, n੠alle leggi di mercato.

La bellezza che sa innalzarsi e innalzarci.

La bellezza che sa opporsi e ci aiuta ad opporci a tutto ciಠche è pura apparenza, a ciಠche è triste, brutto, meschino, superficiale, utilitaristico e volgare.

E se la bellezza non sarà  forse in grado di elevare il nostro cuore sino al punto di rischiare ed intraprendere una rivoluzione in suo nome, per l'uomo della nostra cultura, per l'uomo della nostra generazione, serva almeno a mantenere vivi gli anticorpi che alimentano il nostro orgoglio e la nostra passione, che è dovere morale prima ancora che impegno civile.

Anticorpi che ancora, di fronte all'arroganza, all'ipocrisia, alla furbizia, al qualunquismo dilagante ci impongono, nessuno lo deve dimenticare, almeno il dovere dell'indignazione.


Paolo Scaravelli